Dopo il 4 marzo ogni promessa è debito (pubblico).
Verso il 4 marzo e oltre: obiettivi confusi e proposte irrealizzabili a danno delle nuove generazioni.
Mancano solo due giorni all’election day e il clima di incertezza che avvolge Palazzo Chigi rende complicato trovare un senso a queste elezioni. Maggioranze inesistenti, alleanze improbabili, governi instabili: questi i requisiti della (molto probabile) prossima legislatura, ad ogni modo senza una legge elettorale chiara sarà complicato fare diversamente.
In questo clima di incertezza la cosa più difficile da digerire è che la maggior parte degli schieramenti abbia basato la propria campagna elettorale su proposte sterili, sollevando questioni banali e promesse irrealizzabili, riducendo tutto a semplici slogan elettorali. E soprattutto escludendo, quasi completamente, i giovani dai loro programmi.
La realtà economica e sociale italiana, nonostante gli ultimi dati rassicuranti sulla produzione industriale e sull’occupazione[1], rimane molto critica. È necessario un netto cambio di rotta a quanto fatto fino ad ora, perché, da un lato, tra qualche mese non ci saranno più le politiche monetarie espansive della BCE, e perché sostanzialmente la fonte della crescita italiana è dovuta alla spinta globale[2]. Tuttavia per cambiare davvero rotta non significa attuare misure estreme che potrebbero uccidere definitivamente l’Italia, come la Flat Tax o il Reddito di Cittadinanza, che graverebbero (se attuate attualmente) sempre più sui conti di finanza pubblica, ma è necessario attuare profonde riforme strutturali.
Difatti, se è vero che dal 2014 il PIL è ricominciato lentamente a crescere, è anche vero che l’Italia è il fanalino di coda dell’UE, cresce meno degli altri paesi e questa non è una novità, pertanto l’aumento del prodotto interno lordo dello “zero o uno virgola” non è per nulla rincuorante. Per non parlare del solito rapporto debito/PIL, il nostro debito pubblico continua ininterrottamente a crescere[3] ma nei programmi dei partiti si intuisce un’idea diversa. Anche a proposito dei dati sull’occupazione dell’Istat, che parlano chiaramente di record di occupati, le cose non sono poi così rosee se si confrontano con gli altri paesi e gli obiettivi prefissati. Ad esempio il tasso di occupazione italiano[4] si è attestato, nel terzo trimestre del 2017, al 58,4% (classe di età dai 15 ai 64 anni) e, se considerassimo la classe di età dai 20 ai 64 anni (considerata dagli obiettivi della strategia Europa 2020[5]) il tasso è al 62,7%, di qualche punto più alto ma molto lontano dal target del 75% fissato dalla strategia europea.
Tra l’altro, ci sono sempre le infinite questioni strutturali che rimangono immutate, ad esempio sentiamo quotidianamente di aziende che chiudono o delocalizzano all’estero, mentre la politica nazionale e territoriale, che in questi anni ha fatto poco e male, propone soluzioni temporanee, come gli aiuti di stato, che non risolvono i problemi di interi territori. Basti pensare al caso Ideal Standard, risolto felicemente qualche settimana fa, e più in generale ai tavoli di crisi aziendali aperti presso il ministero dello Sviluppo Economico. Ben 162 vertenze aziendali che coinvolgono complessivamente 180.000 lavoratori, sono dati impressionanti, infatti, rispetto al 2012, i posti di lavoro a rischio sono aumentati del 37%.
Infine, per quanto riguarda le nuove generazioni la situazione è ancora più complicata, mentre i partiti focalizzano il loro impegno su temi quali pensioni, reddito di cittadinanza, e tasse meno per tutti, alle nuove generazioni vengono riservate letteralmente le briciole. Dalla Legge Fornero in poi, escludendo bonus cultura vari e inutili, nessuna politica è stata rivolta alle nuove generazioni, anzi, ad esempio gli effetti del Jobs Act e la relativa massiccia decontribuzione delle imprese per i nuovi occupati, hanno avuto l’impatto opposto da quello prospettato e sbandierato, dato che i giovani occupati, dall’entrata in vigore del Jobs Act, non sono aumentati. E se adesso, dopo circa tre anni dall’entrata in vigora dell’ultima riforma del lavoro, si registrano timide riprese, con il tasso degli under 30 che è salito al 38,4% (classe di età dai 18 ai 29 anni), è anche vero il fatto che non servono economisti per capire che non è sufficiente.
A proposito degli indici occupazionali giovanili e del crescente divario delle nuove generazioni rispetto alle più anziane, basti pensare che dal 2000 al 2016 il tasso di occupazione degli under 25 è diminuito di ben 11 punti percentuali mentre è aumento di un punto quello della classe di età dai 25 ai 54 anni, e di 23 punti quello della classe di età dai 55 ai 64 anni. Con l’aggravante che in uno studio dell’OCSE risulta che l’Italia è uno dei paesi più vecchi e nel 2050 sarà il paese più vecchio al mondo dopo Giappone e Spagna.
In altre parole, in termini economici, i giovani negli ultimi 30 anni hanno perso sempre più terreno rispetto alle generazioni più anziane e continueranno a perderlo sempre più, con difficoltà maggiori ad entrare nel mercato del lavoro e non solo.
Ogni promessa è debito (pubblico)
Abbiamo accennato che il debito pubblico continua a crescere, un macigno che grava soprattutto sulle spalle delle nuove generazioni e che rende sempre più complicato effettuare manovre finanziarie. Eppure durante la campagna elettorale, i problemi di finanza pubblica italiana, sembrano essere scomparsi. Reddito di Cittadinanza, Flat Tax, abolizione della Legge Fornero, Bonus (già testati ed inefficaci): queste le principali proposte irrealizzabili o inadeguate che hanno occupato gli spazi mediatici di queste ultime settimane. Ma siamo sicuri di conoscere le ripercussioni che potrebbero avere sul sistema economico? E soprattutto in che modo i partiti hanno intenzione di finanziarle[6]?
- Il famoso bonus degli 80 euro introdotto dal governo Renzi con la Legge di Stabilità 2015, misura adottata per aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore ai 26 mila euro[7], è costata circa 15 miliardi di euro.
- Il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle, prevede l’erogazione di una cifra uguale a 780 euro (di base) rivolto a tutti coloro che non hanno reddito o hanno redditi molto bassi, il suo costo è stimato dai 15 miliardi di euro ai 29 miliardi di euro.
- L’introduzione della Flat Tax, l’aliquota unica che sostituirebbe quelle previste attualmente dall’IRPEF, è stimata dai 40 miliardi ai 70 miliardi di euro.
- L’abolizione della Legge Fornero, punto essenziale del programma di molti partiti, costerebbe 20 miliardi di euro all’anno in media tra il 2018 e il 2023. L’impatto totale, dal 2012 al 2060, della riforma Fornero sui conti pubblici è di circa 353 miliardi di euro (21% del PIL).
- Aumentare le pensioni minime a €1.000 ha un costo di circa 18 miliardi di euro.
Basti osservare questi principali dati per capire che l’attuazione di simili proposte potrebbe paralizzare l’intero sistema statale. In più da precisare che i partiti, mentre propongono l’improponibile, ignorano due elementi molto importanti che riducono le risorse necessarie per finanziare le spese: il primo è che il nuovo governo dovrà rapportarsi con Bruxelles per la questione relativa alla correzione della manovra per il mancato raggiungimento degli obiettivi sulla riduzione del debito, correzione fissata a circa 3,5 miliardi di euro. Il secondo elemento riguarda l’aumento dell’IVA, difatti per impedire l’aumento dell’IVA prevista nella legge di bilancio è necessaria una cifra di circa 10 miliardi di euro. Due elementi che ridurranno ancora di più i margini di spesa per finanziare le proposte precedentemente descritte, e da come si nota dall’immagine sottostante, diminuiranno le coperture previste dai partiti, che anche senza questi due elementi extra (correzione della manovra e impedimento aumento IVA) sarebbero comunque insufficienti.
Per visionare i commenti completi ai programmi di finanza pubblica effettuati dall’Osservatorio CPI basta recarsi a questo link: http://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-elezioni-2018-commenti-ai-programmi-di-finanza-pubblica
Giovani e astensionismo
Dai dati sull’occupazione, sul calo demografico e sul relativo invecchiamento della popolazione, si evince che tra le diseguaglianze del nostro Paese quella più significativa riguarda i giovani. I loro attuali “benefici” sono redditi bassissimi, ingresso tardivo sul mercato del lavoro e maggiori difficoltà a vivere in proprio e a dedicarsi a un progetto famiglia. La situazione non è di certo delle migliori e nel medio-lungo periodo tutto questo è destinato a peggiorare.
Qualche mese fa l’economista Carlo Cottarelli[8] ha riassunto in maniera molto semplice la situazione generazionale italiana, legandosi a un tema molto scottante, quello delle pensioni, affermando: “In futuro ci saranno meno giovani per sostenere gli anziani. O si aumenta l’età lavorativa o si tagliano le pensioni, non c’è molto altro da fare”. È la dimostrazione di un sistema bloccato che non funziona più, che nel passato ha sperperato e usato male le proprie risorse a adesso i giovani non godono dei vantaggi goduti dalle generazioni più anziane (che allo stesso tempo sono costrette a fare sacrifici), con un ascensore sociale sperimentato da queste ultime ormai obsoleto e non funzionante.
Intanto l’astensionismo è sempre più in crescita. Secondo un’indagine dell’Istituto Demopolis[2] circa 17 milioni di italiani potrebbero non votare alle politiche, di cui particolarmente rilevante il fatto che riguarda gli under 25: quasi 1 giovane su 2, più precisamente il 47% di chi ha meno di 25 anni ha intenzione di non votare alle prossime politiche.
Quella a cui stiamo assistendo è la rappresentazione di un Paese drogato, che ha a malapena i soldi per sostenere la campagna elettorale e affiggere manifesti, e allo stesso tempo promette soltanto illusioni: redditi per tutti, meno tasse per tutti e qualsiasi altra cosa infattibile, naturalmente a danno delle nuove generazioni.
Il Paese sta attraversando un processo di deindustrializzazione, di conseguenza diminuisce la produttività e aumenta il debito pubblico. Parallelamente crollano le nascite e la popolazione diventa sempre più vecchia. Nessuna proposta fattibile, pratica e credibile guarda con serietà al contrasto di questo processo. Nessun progetto serio, europeo e globale per il nostro Paese, nessuno che esprima un’idea di futuro. Tutti che chiedono la stessa cosa, con delle rarissime eccezioni: più Stato, più regole, più spesa pubblica.
Per il dopo 4 marzo dobbiamo augurarci che, chiunque vada al governo, non farà nulla di quanto promesso, altrimenti sarà soltanto peggio. E sperare in futuro in un rinnovamento nei progetti e nelle idee della politica, partendo dalla contaminazione dei programmi di piccoli soggetti politici minoritari nei programmi dei partiti che si contendono Palazzo Chigi.
[1] http://www.istat.it/it/archivio/208110
[2] Il Fondo Monetario Internazionale stima una crescita dell’economia globale del 3,9% nel 2018
[3] http://www.brunoleoni.it/il-debito-pubblico-sul-tuo-sito
[4] http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TAXOCCU1
[5] https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/economic-and-fiscal-policy-coordination/eu-economic-governance-monitoring-prevention-correction/european-semester/framework/europe-2020-strategy_it
[6] http://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Presentazione_Tavole_Confronti_(1).pdf
[7] A partire dal 2018 la soglia del reddito complessivo è stata aumentata a €26.600. Inoltre, bisogna precisare che il bonus non viene erogato ai lavoratori con reddito inferiore agli 8 mila e 174 euro (ai cosiddetti incapienti di imposta)
[8] Carlo Cottarelli è stato nominato Commissario straordinario per la spending review nel novembre del 2013 dal Governo Letta, incarico abbandonato nell’ottobre del 2014. Dal 30 ottobre 2017 è Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano
[9] http://www.demopolis.it/?p=4817