Innumerevoli, come granelli di sabbia del mare, sono le passioni umane e tutte diverse l’una dall’altra e tutte quante, meschine e nobili, da principio stanno soggette all’uomo e divengono poi le sue terribili tiranne.
(N. V. Gogol’, Le anime morte)
Schiavo delle mie brame…
“[…] Viene sempre un momento, nella storia di una dipendenza, in cui diventa evidente una forma di sdoppiamento: le brame sono mie, sembra dire la persona dipendente, appartengono a me, anche se io vorrei liberarmi dalla loro tirannia. Quello che mi porto dentro quando esse mi trascinano su strade sbagliate, sembra una specie di nemico interno capace di impadronirsi della mia mente, deformando i miei giudizi, dirigendo in presa diretta i miei comportamenti, mettendomi di fronte alle cose che a volte faccio senza che io abbia avuto il tempo di pensarci né di riflettere sulle conseguenze che avranno sulla mia vita o sui miei rapporti: con gli altri e con me stesso. Passioni distruttive e senza scopo, che sorgono in un luogo buio dentro di me, che si contrappongono apertamente a tutto quello a cui mi ero preparato e che io stesso credevo di desiderare.
Sento che sono mie in quanto oscuramente collegate alla mia storia lontana, al modo in cui mi è venuto naturale atteggiarmi, confrontandomi con le attese e le richieste degli altri, negli anni e nelle circostanze in cui sono diventato me stesso, e che tuttavia mi sembrano estranee, come se, venendo da tempi, luoghi e ricordi in cui non vorrei riconoscermi, che vorrei cancellare o cambiare, verso cui sento paura e rifiuto, fossero in contrasto troppo aperto con la maschera che porto, con il personaggio che vorrei o dovrei essere adesso. Oscuramente, sento che si ispirano a una storia e a una struttura dotata di senso scritta dentro di me, e che mi portano a essere diverso da quello che vorrei essere. Come se io fossi, alla fine, un essere diviso in due.
Schiavo delle mie brame. Se è questo ciò a cui ogni persona dipendente arriva in un momento particolarmente doloroso del suo percorso di vita, quella che dovrebbe derivarne è la consapevolezza del dramma che si nasconde dietro ogni forma di dipendenza. Un dramma capace di travolgere la persona…
[…]
Le partite giocate sulla mia pelle da quella parte di me che non conosco sono confuse. Le finalità che questa parte di me persegue spesso non sono chiare neppure a me stesso. Emergono come espressione di bisogni che è difficile esprimere a parole, rintracciabili, spesso, solo nella mia storia lontana, seguendo l’intera parabola della mia vita. Questi bisogni corrispondono a una forma d’inquietudine, a un oscuro male di vivere che trova una risposta utile e una promessa di appagamento nell’incontro casuale con un oggetto. Solo nel tempo si arriva a verificare la capacità di questo oggetto di soddisfare tre bisogni fondamentali.
Il primo, e più evidente, bisogno è quello che si gioca sul piano del piacere o della caduta di una tensione (felicità o anestesia, appagamento ideale o pace dell’anima).
Il secondo, meno evidente, si basa sul contrasto al disegno consapevole della persona, alle sue attese apparenti e quelle più o meno naturali di chi gli sta intorno: «Vorrei essere capace di lavorare, di amare, di divertirmi, di vivere una vita normale», dice la persona, con le parole o con gli atti. «Non ci riesco o non posso a causa della mia dipendenza che mi rende diverso da quello che sono, che mi impedisce di essere quello che vorrei e da cui mi sento trasportato come un galleggiante alla deriva.»
Infine il terzo, simbolico e compensatorio, è quello che si gioca sul piano della trasgressione, dell’essere e del presentarsi diverso, fuori dalle regole e dalle abitudini che definiscono le routines inaccettabili della normalità, la banalità di chi vorrebbe insegnarti a vivere in un modo che è il suo e non il tuo. L’oggetto obbligato delle mie brame diventa così rapidamente un modo stralunato e assurdo di darsi obiettivi ravvicinati, sostitutivi di quelli normali che non ci sono più.
Essendo capace di soddisfare tutte queste esigenze, l’oggetto delle brame diventa il protagonista assoluto della vita. Parliamo di dipendenza proprio quando l’orizzonte si restringe intorno a un oggetto su cui la persona si concentra o su cui sente di poter riflettere tutti i suoi desideri e tutti i suoi bisogni. Scegliendo un farmaco proibito come l’eroina o la cocaina, facendo un uso smodato di una sostanza che proibita non è come l’alcol, adottando un comportamento rischioso come il gioco d’azzardo o cercando in maniera esagerata conferme basate sull’ammirazione degli altri e/o sull’esercizio di un potere. Sono tutte situazioni caratterizzate da uno squilibrio personale reso stabilmente drammatico dall’incontro con l’oggetto delle brame o con l’abitudine da cui la persona diventerà dipendente; incontro regolarmente preceduto da un insieme riconoscibile di esperienze di difficoltà. Come mostrano, con grande chiarezza, i dati della ricerca e quelli dell’esperienza di tutti i giorni.
[…]
Schiavo delle mie brame. La dipendenza recitata due volte come una tragedia sul grande teatro della vita. Migliaia di versioni diverse, ogni storia una storia a sé, tutte però, su due copioni fondamentali: quello del bambino spaventato e indifeso di fronte all’aggressività e/o alla noncuranza degli altri e alla rabbia che si sente nascere dentro, e quello del bambino pseudosicuro che nasconde a se stesso i suoi bisogni reali; adulti, più tardi, alla ricerca di un punto di stabilità o resi inutilmente spavaldi dalla convinzione sbagliata di averne uno dentro di sé. All’inseguimento, comunque, tutti insieme di uno stesso impossibile equilibrio: promesso e negato, come in un miraggio, dai farmaci o dal gioco, dall’ammirazione o dal successo.
[…]
Schiavo delle mie brame. Incontro con il luogo in cui il dolore personale è l’ultima manifestazione di un dolore maturato nel corso delle generazioni e/o il frutto naturale di un’ingiustizia del mondo. Carenze del famigliare o del sociale, del famigliare e del sociale che si rincorrono e si rinforzano fino al momento in cui si trasformano nello squilibrio leggero e rischioso del bambino e in quello amplificato e durevole dell’adulto. Squilibrio secco che ripercuote, a livello dell’individuo, quello confuso di una società naturalmente imperfetta.
Schiavo delle mie brame. Manifestazione naturale e inevitabile, a livello del più debole, di un male oscuro che riguarda anche i più forti o i meno deboli. Che su loro ritorna, come attacco e come domanda. Che ci richiama a quello che dovremmo sempre poter e saper essere: uomini adulti capaci di capire e di sentire l’umanità di un attacco che nasconde, dal tempo lontano dell’infanzia, una domanda di aiuto e di incontro che qualcun altro non ha saputo ascoltare. Che noi, per un qualche istinto che ci portiamo dentro da sempre, per l’esperienza che noi abbiamo fatto comunque in un momento della nostra vita, sappiamo di poter e di dover ascoltare.
Schiavi che possono essere liberati.
[…]
Schiavi da cui si impara.
[…] sapere dall’altro quello che non abbiamo capito o saputo da noi stessi. Sta, soprattutto, nella possibilità di intendere attraverso di lui la relatività felice dello star bene. E’ nel momento in cui spicchi il grande salto – dice il ragazzo del film di Wenders che si getta dal tetto del Millon Dollar Hotel – che intendi quanto sono belle le cose della vita, le piccole cose della vita, quelle cui passi accanto ogni giorno senza sussulti, quelle di cui quasi non ti accorgi. E’ accompagnando il tuffo di chi sembra rifiuti la vita che te ne puoi accorgere, a volte, aiutandolo e continuando a vivere con lui. Perché c’è sempre un momento in cui tu sei l’altro e l’altro è te in questa grande avventura (paurosa e triste o allegra e felice, difficile e triste e allegra e felice) che è la vita di tutti noi. La storia e la vita di tutti noi.”
Luigi Cancrini, Schiavo delle mie brame. Storie di dipendenze da droghe, gioco d’azzardo, ossessioni di potere. Ed. Frassinelli, 2003.
Gli altri LIB(e)RO PENSIERO: https://www.lindifferenziato.com/category/cultura/libri/libero-pensiero-libri/