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Quale futuro per il Regno Unito e l’Europa?

“Divided we fall”. Così intitolava in prima pagina l’Economist pochi giorni prima del referendum britannico, approfondendo come la perdita di uno degli stati membri più grandi dell’UE avrebbe aperto una ferita profonda che si sarebbe estesa anche al resto d’Europa. A causa della mancanza di volontà che sembra caratterizzare gli Stati membri e con l’avanzata dei nazionalismi, è facile pensare che sarà sempre più ardua la sfida per cambiare l’assetto politico ed economico attuale dell’Unione Europea. E dopo la vittoria in UK del “leave”, c’è il timore concreto di un effetto domino che rischia di travolgere l’intero continente.

brexit

Un futuro incerto

Il futuro britannico è difficile da pronosticare. C’è ancora un lungo percorso da definire, e soprattutto sarà opportuno esaminare l’eventuale accordo che verrà siglato tra Gran Bretagna e Unione Europea. Alle due estremità troviamo, quello di un Regno Unito che potrebbe rimanere all’interno del mercato unico europeo (come Norvegia e Svizzera), al fine di ridurre le conseguenze commerciali. Oppure uno scenario completamente differente con conseguenze commerciali certamente negative, ossia quello in cui l’UE decida di escludere completamente il Regno Unito dagli affari dell’Unione e dal mercato unico.

Ma, come già affermato, la strada è lunga ed è molto probabile che si trovi un accordo intermedio o che addirittura non se ne trovi alcuno. Per di più è stata lanciata una petizione per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit, dimodoché da rendere nulla la vittoria del “leave” La petizione sta avendo molto successo, ha raccolto circa 4 milioni di firme, ma al momento sembra poco realizzabile l’ipotesi che venga fissato un nuovo referendum. Anche se indubbiamente il parlamento inglese sarà costretto a mantenere aperto il dibattito sull’uscita o meno del Regno Unito dall’UE, magari temporeggiando su Bruxelles che chiede di avviare immediatamente le trattative. Nonostante tutto, per quanto il dibattito potrà rimanere aperto, ritornare indietro sarà quasi certamente impossibile. Difatti ieri al Parlamento inglese il primo ministro Cameron ha dichiarato: “Il risultato del referendum sarà rispettato”, asserendo che adesso l’unico obiettivo utile per la Gran Bretagna è quello di rimanere all’interno del mercato unico ammortizzando le ripercussioni economiche.

Senz’altro, se le trattative per lasciare l’Unione Europea verranno portate avanti, sarà una Gran Bretagna lasciata al suo destino, una nave costretta a navigare in acque ignote senza una destinazione ben precisa, come ha affermato David Cameron dopo i risultati del referendum in un discorso alla nazione: “Farò tutto quello che posso, come primo ministro, per cercare di stabilizzare la nave nelle prossime settimane e mesi, ma non credo che sarei il capitano adatto per guidare il nostro Paese alla sua prossima destinazione”. Un discorso destinato ad entrare nei libri di storia, di un Cameron che ha pagato a caro prezzo la sconfitta del “remain”. E che ha deciso di lasciare inaspettatamente la guida del Regno Unito, forse consapevole di essere stato travolto dal suo stesso errore, convocando un referendum per certe ragioni inutile. Un errore che trova responsabili nella stessa Unione Europea, Jean-Claude Juncker ha rappresentato senza ombra di dubbio l’UE contro il Regno Unito, e ha le stesse responsabilità del primo ministro britannico. Qualora decidesse di lasciare la presidenza della Commissione europea (ipotesi azzardata), presumibilmente sarà il primo passo di un’Europa che intende cambiare, che intende assumersi tutte le responsabilità dell’attuale sistema malfunzionante, e che intende seguire uno schema di un’Europa più unita politicamente e meno burocraticamente.

 

I veri sconfitti: i giovani

Dall’analisi di YouGov emerge un risultato che evidenzia un gap generazionale abissale, il 74% dei votanti di età comprese tra i 18 e i 24 anni e il 54% dei votanti tra i 25 e i 49 anni si è espresso per il “remain”, mentre nella fascia di età compresa tra i 50 e i 64 anni tale orientamento si abbassa al 42% fino ad arrivare al 36% tra gli over 65.

Questi dati mostrano i veri sconfitti del referendum, ovvero i giovani. Non si potrebbero trovare parole migliori di quelle usate dal leader dei Liberal Democratici, Tim Farron che, venerdì dopo l’ufficializzazione della vittoria del “leave”, ha dichiarato: “I giovani hanno votato per rimanere nell’UE con un ampio margine, ma qualcuno li ha superati. I giovani hanno votato per il loro futuro, che però gli è stato negato.”

Un’analisi del voto che fa riflettere, soprattutto perché esiste una contrapposizione di fondo, educativa e generazionale, anziani che vivono nelle periferie e giovani che popolano le città, anziani che hanno vissuto le loro vite e giovani laureati che aspirano ad ottenere un posto centrale nel mondo.

Il nodo della questione è proprio la noncuranza del futuro da parte di molti che, al contrario, dovrebbero prestare maggiore attenzione agli scenari venturi nazionali, europei e globali per garantire un futuro migliore ai loro figli e nipoti.

Il destino del Regno Unito e dell’Europa è incerto. Pertanto, se si vuole cambiare davvero l’Europa non basta modificare gli assetti istituzionali. La politica deve decisamente percorrere le ambizioni dei giovani europei, dei giovani che appartengono alla generazione erasmus, dei giovani che credono che un’Europa migliore è possibile seguendo il disegno degli Stati Uniti d’Europa. E paradossalmente nel Regno Unito si sta muovendo qualcosa. Stiamo assistendo ad un fenomeno unico senza alcun precedente nella storia europea. Ci sono milioni di cittadini londinesi, scozzesi e nordirlandesi che dopo la vittoria del “leave” chiedono di rimanere nell’Unione Europea, costi quel che costi, anche se questo significa chiedere indipendenza dal Regno Unito. È uno scenario incredibile, probabilmente la prima espressione della nascita di veri cittadini d’Europa, ove l’identità europea conta più di quella nazionale. Perché dopotutto è più importante rimanere uniti e crescere che dividersi e cadere.

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