Dopo le interviste a Francesco Repice e al segretario della Fiom, Maurizio Landini, in questo numero è stata nostra gradita ospite, l’europarlamentare Elly Schlein. Considerata uno dei volti nuovi e migliori della sinistra, è stata eletta al Parlamento Europeo nelle liste del Pd alle elezioni del 25 maggio 2014 grazie a 53.681 voti di preferenza e ad una campagna elettorale partecipata, collettiva, fatta strada per strada e in mezzo alla gente. Nel maggio del 2015 ha deciso di abbandonare le file del Partito Democratico, per fondare insieme a Pippo Civati, Possibile.
Laureata in Giurisprudenza, si è sempre definita un’aspirante regista, attiva nel mondo dell’associazionismo e del sociale, nel 2011 ha contribuito a fondare a Bologna, l’associazione studentesca universitaria Progrè che si proponeva di approfondire e analizzare le tematiche legate alle politiche migratorie e alla realtà carceraria. Nel 2012 ha lavorato al documentario Anija – La Nave, premiato con il David di Donatello 2013.
Politicamente, dopo la mancata elezione di Romano Prodi al Quirinale, diviene una delle protagoniste di Occupy Pd, la mobilitazione che ha portato all’occupazione di numerose sedi di partito da parte dei militanti che protestavamo fortemente per le scelte effettuate dal Partito Democratico sull’elezione del Presidente della Repubblica ma soprattutto sul Governo di Larghe Intese.
Europa, politica italiana, Possibile e cinema questi gli argomenti della piacevole chiacchierata. Come sempre per scaricare il pdf basta cliccare sul link seguente, altrimenti si può leggere l’intervista di seguito —>Intervista_EllySchlein
La frase dell’intervista: Non mi rassegno all’idea che la gente non abbia più interesse verso la cosa pubblica o che non abbia più voglia di partecipare. La società è molto dinamica, ci sono molte spinte che l’attraversano e che magari non si organizzano seguendo i mezzi tradizionali della politica e dei partiti. Su questo punto dobbiamo interrogarci e rimboccarci le maniche, per capire in che modo la politica possa interpretare e accompagnare queste nuove istanze sociali, senza mai avere la presunzione di volerle guidare, per accompagnarle e renderle istanze politiche. Questa è la vera sfida.
Benvenuta all’Intervista de L’Indifferenziato e grazie per aver accettato la nostra proposta. Dall’ideazione di Occupy Pd, dopo la mancata elezione al Quirinale di Romano Prodi, al ruolo di Parlamentare Europeo: in cosa è cambiata, se è cambiata, Elly Schlein in questo lasso di tempo?
Non è certamente cambiato lo spirito con cui cerco di impegnarmi nelle cose in cui credo, sicuramente, però, adesso ho molte responsabilità in più rispetto ad allora, un po’ perché ho intrapreso un percorso con moltissime persone con cui ho condiviso questi splendidi anni di battaglie, un po’ per il ruolo che mi è stato affidato dai cittadini che mi hanno votato per fare delle precise battaglie che sto portando avanti in Parlamento. Spero che non sia cambiato molto della mia persona: ho sempre l’idea che la politica sia un servizio pro-tempore per poi tornare a fare quello che ci appassiona nella vita, nel mio caso, spero sarà il cinema.
Domanda secca sull’attualità politica: può esistere ed ha senso un Europa senza Schengen?
Secondo me no. La libertà di circolazione è uno dei pilastri fondamentali dell’Unione. E’ uno dei passi avanti più straordinari che l’Europa ha saputo fare. Tornare indietro su questo metterebbe a serio repentaglio l’intera costruzione europea. Inoltre fare a meno di Schengen avrebbe dei costi economici incredibili: le stime valutano il danno economico tra i 28 e i 50 mld di euro. Si deve considerare che noi abbiamo 60 milioni di tir che ogni anno attraversano almeno una frontiera. Dovrebbero sottoporsi a code, controlli doganali, si dovrebbero ricostituire le dogane con personale alle frontiere. Poi abbiamo 1 milione e 700 mila persone che sono transfrontaliere, cioè che lavorano in un altro Paese dell’Unione rispetto a quello in cui risiedono. Una decisione del genere, dunque, comporterebbe ritardi e costi economici elevatissimi. Questa scelta è ovviamente ingiustificata, perché l’unico motivo per cui Schengen viene messa in discussione è appunto la sfiducia tra governi, in relazione all’incapacità di gestire i flussi migratori con una politica più intelligente rispetto al sistema di Dublino.
Si intravede una via di fuga positiva o siamo in un vicolo cieco?
E’ un momento di grande difficoltà e grande preoccupazione, tuttavia io mi auguro che si abbia il buon senso di venirne fuori con esercizio di lungimiranza e di solidarietà. La questione dell’immigrazione è assolutamente affrontabile nella sua drammaticità, nei suoi numeri e garantendo i diritti delle persone che arrivano in cerca di protezione internazionale, fuggendo da guerre e da discriminazioni di ogni sorta, applicando semplicemente quello che c’è scritto nei trattati. Negli articoli 78 e 80 si parla di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità. Non è, ahimè, quello che abbiamo visto fino ad adesso: nel 2014 solo sei stati membri su 28 hanno da soli affrontato il 77% delle richieste d’asilo arrivate in tutta Europa. Se ogni stato facesse la sua parte, sarebbe una sfida affrontabile facilmente per tutti. Bisogna che ogni Governo Europeo si prenda la sua equa parte di responsabilità. Le persone non stanno scappando verso l’Italia, la Grecia, la Spagna o l’Ungheria, stanno scappando verso l’Europa, quindi serve una risposta Comune Europea che siamo perfettamente in grado di dare. Per fare un esempio quest’anno si parla di un milione- 1 milione e mezzo di rifugiati, mentre nei Paesi confinanti ai conflitti come il Libano, la Giordania, e la Turchia abbiamo rispettivamente 1 milione e mezzo, 650 mila e 2 milioni e mezzo di rifugiati.
“Chiedevamo “un partito all’altezza della sua base”, che desse ascolto a militanti ed elettori e li coinvolgesse nelle scelte più importanti, ma in questo l’era Renzi non ha portato nulla di nuovo. Me ne vado con il dolore infinito di lasciare tanti amici e compagni di intense battaglie, ma con la speranza che un giorno ci ritroveremo. Con il tormento interiore di sapere che deluderò alcuni di coloro che mi avevano sostenuto, e che ci credono ancora. Li rispetto, abbiamo nutrito di tutte le nostre energie questa convinzione che ha alimentato l’entusiasmo e la grinta con cui abbiamo portato giorno dopo giorno il nostro contributo al PD, ed è un travaglio anche personale quello che porta all’amara convinzione che la mutazione genetica del partito sia ormai irreversibile. Ma se la raggiungi, questa consapevolezza, per onestà intellettuale e per coerenza devi chiederti se quel che fai è abbastanza, per il Paese. O se è quanto basta per salvare la tua coscienza. Devi chiederti, cioè, se dopo un anno di trasformazioni profonde, di calci in faccia e di riforme che non condividi vuoi offrire al Paese solo il tuo dissenso, perennemente irriso e calpestato, oppure una prospettiva. Ed io scelgo la seconda”. Questa è solo una parte della lunga lettera con la quale ha dichiarato la sua uscita dal Pd e l’intenzione di seguire Pippo Civati nella creazione di Possibile. A nove mesi da quello snodo politico cruciale a che punto è la creazione di quella prospettiva futura? Come sta crescendo Possibile??
Diciamo che siamo partiti bene. A giugno abbiamo proposto una formula molto aperta ed innovativa che secondo me va nella direzione giusta per riallacciare i fili dell’ascolto con la società. Siamo in un momento di grave crisi della rappresentanza, dei corpi intermedi compresi i partiti. Credo che chiunque faccia politica oggi si debba interrogare su quelle alte percentuali di astensionismo. Non mi rassegno all’idea che la gente non abbia più interesse verso la cosa pubblica o che non abbia più voglia di partecipare. La società è molto dinamica, ci sono molte spinte che l’attraversano e che magari non si organizzano seguendo i mezzi tradizionali della politica e dei partiti. Su questo punto dobbiamo interrogarci e rimboccarci le maniche, per capire in che modo la politica possa interpretare e accompagnare queste nuove istanze sociali, senza mai avere la presunzione di volerle guidare, per accompagnarle e renderle istanze politiche. Questa è la vera sfida.
Ovvio che per farlo, e finalmente direi, vista la mia esperienza del Pd, proponiamo un soggetto in cui la linea sia decisa insieme e le grandi scelte sottoposte a tutti gli iscritti. Possibile si è dotato di una struttura orizzontale fatta di comitati che sorgono sui vari territori e che si mettono in relazione gli uni con gli altri, condividendo progetti ed idee. Nella struttura molto snella che ci siamo dati, la linea politica la fanno gli Stati Generali, cioè l’assemblea di tutti gli iscritti. Ogni grande decisione, come sognavamo quando eravamo in altre esperienze, la prendono sostanzialmente gli iscritti. Di queste se ne fanno interpreti il segretario e le persone che fanno parte dei due comitati scientifico e organizzativo, organi esecutivi e di supporto agli Stati Generali nell’elaborazione della linea politica di Possibile.
Una fetta della base di “sinistra” continua a chiedere “unità”. E’ importante, dunque, capire la distanza che intercorre tra Possibile e Sinistra Italiana. Le chiedo, dunque, quali sono i rapporti, i punti di contatto, le differenze e le prospettive future anche in vista delle amministrative tra il gruppo parlamentare e il suo partito? (Spiegando la struttura di Possibile ad una parte della domanda ha già risposto..)
Credo che l’unità sia un obiettivo verso cui tendere e non sia un presupposto di cui non si possa fare a meno. L’unità nasce dalla condivisione dal basso della pratica politica e delle battaglie che si fanno sui contenuti. Su questo c’è sempre e stata e ci sarà, ovviamente, la più ampia collaborazione con le altre realtà della sinistra. Ci sono tante battaglie che abbiamo condiviso in Parlamento e fuori che possiamo continuare a condividere. Forse una differenza è che SI nasce come gruppo unitario in Parlamento mentre noi eravamo e siamo convinti che nel nostro Paese per far ripartire la sinistra, che viene da una storia di tanti esperimenti falliti e speranze disattese, bisogna finalmente provare a far ripartire le cose dal basso.
Non sono parole vuote di uno slogan ma è la convinzione che oggi una fusione a freddo di ceto politico non dia lo slancio necessario a far ripartire la voglia di partecipare delle tante persone che oggi non si sentono più rappresentate. Forse questo ha segnato questa differenza di percorso che però non toglie minimamente il fatto che sui singoli temi e sulle singole battaglie continueremo a lavorare insieme.
Riguardo alle amministrative si possono citare gli esempi di Bologna e Torino come laboratori che vanno nella direzione di una lista unitaria a sinistra?
In tante città ci stiamo muovendo con lo spirito di cercare di mettere in rete tutto ciò che si muove a sinistra per creare dei progetti che siano alternativi ed innovativi. Lo stiamo facendo a Bologna, dove ci siamo dati come direzione tutti insieme l’idea di riuscire a condividere una visione di futuro di questa città, in un percorso che ci vede uniti in un grande contenitore civico, la “coalizione civica”, così si chiama, in cui ci sono storie e sensibilità politiche anche diverse che però condividono l’ambizione di dare una prospettiva alla città. Noi come Possibile ci siamo messi ovunque, non solo a Bologna ma anche a Torino, a Roma, a Milano, a disposizione per far emergere il miglior civismo, senza la necessità di mettere bandierine, ma veramente con lo spirito di costruire proposte intorno alle priorità che i cittadini sentono importanti per loro e intorno alle cose che fanno la differenza nella quotidianità. A Bologna, per esempio, nel Road Show abbiamo invitato tutta la cittadinanza a riflettere attorno a 5 grandi tavoli tematici che racchiudevano le grandi sfide che ci troviamo di fronte. Quella del welfare e dei diritti da ripensare in un’epoca profondamente trasformata, quella della green economy e dell’efficientamento energetico, quella del recupero e della riqualificazione urbana, così come il tema della cultura e dell’innovazione che è sia sociale che politica. Insomma questi sono i grandi temi sui quali si stanno interrogando tutte le grandi città che si apprestano alla sfida amministrativa. Lo spirito è quello da fare da enzima, di alimentare sinergie tra le tante realtà politiche e sociali a sinistra, con l’idea di parlare a chi non si sente più rappresentato e a chi non si sente più partecipe della vita pubblica.
A livello Europeo, Possibile in che area politica si sta collocando? Con quali partiti sta nascendo una collaborazione e con quali eventualmente si sta pensando di organizzare una rete europea, visto che ormai le partite più importanti si giocano proprio a Bruxelles?
Io sono convinta e l’ho detto nell’atto fondativo di Possibile a Roma, ai Pini Spettinati, che una nuova sinistra può soltanto collocarsi fortemente in una dimensione europea, perché le sfide che abbiamo di fronte sono sfide che si giocano a livello continentale e che non si fermano più ai ristretti confini nazionali. Quindi logicamente solo in quel contesto possono trovare una risposta compiuta. Dall’immigrazione alla questione dell’elusione e dell’evasione fiscale, alla questione delle politiche economiche sociali a quelle della politica estera. Queste sono grandi temi europei, quindi è necessario che ci si collochi immediatamente in questa dimensione. La scorsa settimana Pippo Civati è venuto a Bruxelles ed insieme abbiamo concluso una splendida assemblea dei comitati europei di Possibile. Ce ne sono in molte città europee e c’è una rete consolidata che ha molta voglia di fare e di contribuire al progetto. Ovviamente abbiamo fatto una serie d’incontri con quelli che consideriamo dei nostri partner con cui è possibile condividere alcune battaglie a partire da quella per la dimensione sociale dell’Europa che ancora manca. Ne abbiamo parlato con i socialisti più di sinistra, con qualcuno del Labour che vive questa nuova stagione con la leadership di Corbyn, ne abbiamo parlato ovviamente con Podemos, così come con Syriza e con i Verdi Europei con cui c’è una relazione molto forte e speciale che rispecchia un po’ la collaborazione con Green Italia che abbiamo da quando siamo partiti. Queste, secondo me, sono le realtà con cui abbiamo un comune sentire e con le quali abbiamo alcune battaglie da portare avanti sul versante europeo.
Da sempre ha concentrato le tue battaglie politiche sui diritti sociali, civili e sulla legalità. A Bruxelles, in questo periodo di attività parlamentare, su di questi aspetti ti sei concentrata particolarmente?
Io lavoro in tre commissioni a Bruxelles che sono la commissione Sviluppo che come si può immaginare si occupa di politiche per lo sviluppo, la commissione LIBE, che tra le altre cose si occupa di immigrazione, che è il tema più caldo in questo momento, e la commissione FEMM che si occupa di parità di genere. Cerco grazie al lavoro in queste tre commissioni di collegare questi aspetti. La questione dell’immigrazione è strettamente legata con le politiche per lo sviluppo. E’ un fenomeno estremamente complesso quello migratorio ma bisogna affrontarlo sul breve, sul medio e sul lungo termine. Allora mentre sul medio lottiamo per una riforma radicale del sistema di Dublino, che era ipocrita sin da quando è stato scritto, per una equa distribuzione delle responsabilità tra i Governi Europei sui richiedenti asilo, ma anche per l’apertura dei canali legali e sicuri d’accesso all’Europa per chi deve richiedere l’asilo o per chi semplicemente migra. Al di là di questo bisogna pensare alle cause di lungo termine ed è qui che entra in gioco il tema dello sviluppo. Le cause di lungo termine vanno dai conflitti, al cambiamento climatico alla questione centrale dei nostri tempi che è quella delle disuguaglianze globali di cui è ammalato il nostro mondo. Su queste dobbiamo assolutamente agire sia tra gli stati che dentro i nostri stati perché anche all’interno del territorio italiano le disuguaglianze sono in aumento costante e drammatico. Queste sono le grandi questioni e mi muovo nell’ottica di tenerle insieme.
La prima relazione Schlein, è stata votata dal Parlamento nel Luglio dell’anno scorso, riguarda il tema dell’elusione fiscale nei paesi in via di sviluppo che è strettamente connesso al tema delle disuguaglianze e dell’alimentarsi di queste, perché purtroppo dai paesi in via di sviluppo –forse non molti lo sanno– escono miliardi e miliardi di evasione fiscale da parte di compagnie sostanzialmente nostre che riescono a strappare condizioni fiscali agevolate in cambio di investimenti che sono molto poco fruttuosi per i Governi locali e molto fruttuosi per queste multinazionali. Alcune di esse hanno la brutta abitudine di considerare i Paesi in via di sviluppo come dei veri e propri paradisi fiscali. Dobbiamo tenere insieme questo ragionamento perché quando ci chiediamo dove vengono a mancare le risorse dei Governi per lo sviluppo o per fornire i servizi pubblici essenziali ai proprio cittadini e una vita dignitosa, dobbiamo considerare ed interrogarci su dove sono questi soldi. Sicuramente c’è un filo conduttore in tutte le battaglie che facciamo. Io mi occupo di queste e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata a livello europeo e globale. Questo, come segnalavi nella domanda è sempre stato uno dei nostri punti fermi.
Durante le elezioni del 2008 e del 2012 è volata a Chigaco, per sostenere la campagna di Obama perché come ha dichiarato: “Dopo il deludente voto per Kerry nel 2004, con la candidatura di Obama decisi che la cosa era troppo decisiva per starsene sul divano, col magone, durante l’Election Night: presi un aereo e andai dai cugini a Chicago per fare la volontaria nella campagna elettorale delle presidenziali”. Siamo, ormai, alla fine del decennio Obama- Quali sono stati i punti di forza e quali gli eventuali errori?
Punti di forza ce ne sono sicuramente stati: per quanto osteggiata e indebolita c’è stata una riforma della sanità che è sostanzialmente rivoluzionaria per un Paese come gli Stati Uniti. Positivi passi sul tema dell’immigrazione e diritti, si può citare il matrimonio egualitario che è un altro tema che ci sta molto a cuore, positiva –e lasciatemi dire: finalmente!– è l’insistenza sul tema delle armi, cioè l’eccessiva circolazione delle armi negli Stati Uniti, con le pagine di cronaca troppo spesso tinte da terribili stragi. Riassumendo ci sono stati passi in avanti fatti da questa Presidenza, ma allo stesso tempo ci sono delle aspettative tradite, forse anche perché queste nei confronti erano elevatissime. Si è trovato subito in una situazione difficile perché non aveva più la maggioranza al Congresso e ovviamente per questo motivo c’è stato sempre un dibattitto molto accesso tra Repubblicani e Democratici.
Forse dal punto di vista della politica estera non c’è stata una discontinuità così eccezionale come si poteva pensare, si poteva fare qualcosa di più. Dopo di che, però, non posso dirti che non ci sia stata discontinuità perché non è vero. Non siamo di fronte alle politiche del Governo Bush da cui venivamo.
L’azione straordinaria, dal mio punto di vista, è la stata la risposta alla crisi. Governo e Federal Reserve, sono riusciti a dare una risposta molto più pronta, rispetto all’Europa, alla crisi finanziaria del 2008, che partiva proprio dagli USA con i mutui subprime, grazie a politiche espansive, di respiro keynesiano. I dati dell’occupazione sono incredibili sotto questo punto di vista. Questa è stata una grandissima vittoria di Obama, secondo me un po’ sottovalutata nel dibattito pubblico americano.
Guardando questa campagna elettorale c’è qualche candidato che ti sta appassionando particolarmente e che ti farebbe prendere l’aereo e tornare a fare la volontaria in America?
Devo dire che essendo particolarmente impegnata con il lavoro non riesco a seguire come vorrei il dibattito. Non ho ancora maturato, quindi, una preferenza netta. Sicuramente la figura che mi pare più interessante, per mille ragioni, è quella di Bernie Sanders. Le battaglie che si sta intestando sono per molti versi simili alle nostre, il fatto che non abbia grandi sponsor, situazione che conosco molto bene perché ha sempre contraddistinto le nostre battaglie (con nessuno dietro ma con molti davanti, come dicevamo con Civati).
Ma se vincesse Hillary non ti posso dire, però, che non sarebbe una svolta interessante anche avere finalmente una Presidente donna negli Stati Uniti.
Come abbiamo visto hai partecipato attivamente a campagne elettorale italiane ed americane. Ora siedi a Bruxelles e vivi quotidianamente un diverso modo di concepire la politica. Ci sono differenze d’intendere la Politica nei tre contesti?
I contesti sono tutti molto diversi, difficilmente paragonabili tra loro, in particolare quello Americano. Le campagne elettorali, si fanno in maniera completamente diversa anche con un dispendio di risorse che non è comparabile a quello del sistema italiano, che pure è impegnativo. Non le nostre visto che abbiamo fatto una campagna collettiva basata con il crowdfounding e il crowdsourcing perché per dirla con una battuta non “c’avevamo na lira” e quindi abbiamo dovuto ottimizzare le pochissime risorse che avevamo a disposizione grazie al contributo che moltissimi ci hanno dato. Detto questo, nonostante le differenze ci sono, ovviamente, molte cose che sono simili e che sono applicabili. Io, nel mio piccolo, qualcosina di ciò che avevo imparato durante le due campagne che ho fatto negli Stati Uniti per Obama ho provato a riproporlo qui. Soprattutto questa idea di una campagna che non chiedesse semplicemente un voto ma chiedesse un contributo di qualsiasi tipo che può essere di competenze, di idee, di mezzi, di risorse, di dare un posto per dormire la sera quando si passa cosicché si risparmia anche di dover stare da qualche parte in Albergo. La campagna collettiva funzionava esattamente così, si basava proprio su questo presupposto e devo dire che ha avuto un successo che neanche noi ci aspettavamo.
Per il resto sono sistemi politici diversi ed io sono sempre molto attenta a non fare delle assimilazioni improprie, so che è uno sport molto diffuso nel nostro Paese, però credo che ogni contesto sia diverso e vada visto sotto questa luce, cercando successivamente di ragionare su alcune linee comuni.
Come la politica italiana, o forse sarebbe meglio dire i politici italiani, vengono giudicati in questi tre contesti? C’è un problema di reputazione italiana?
Diciamo che non c’è un giudizio o un pregiudizio universale, o almeno non mi è capitato di riscontrarlo nel mio lavoro al Parlamento Europeo. Poi se c’è può essere che con lo vengono a dire a me.
E’ evidente, però, che ci sia un problema serio di presenza dell’Italia, in particolare del Governo Italiano, a Bruxelles. Questo è un dato su cui il Governo Renzi è in totale continuità con gli esecutivi che l’hanno preceduto. Forse con una piccola parentesi con i Governi Monti e Letta che erano più attenti al contesto delle istituzioni europee. L’Italia dovrebbe essere in grado di fare più sistema Paese, di essere più presente e di capire come si sta nelle Istituzioni Europee. Questo ancora prima di lamentarsi delle decisioni di Bruxelles, come se non avesse essa stessa partecipato alla formazione di ognuna di queste decisioni. Sicuramente serve una maggiore presenza e un maggior investimento di sistema, che vuol dire anche ragionare diversamente sulla selezione della classe politica che si manda a Bruxelles. Ci si lamenta molto spesso dei tedeschi. C’è questo mito che li vuole a dettare legge. Si può biasimarli fino ad un certo punto, ma hanno semplicemente capito meglio di noi come si sta in queste istituzioni e quindi come si riesce ad incidere nei processi decisionali.
Passiamo ad una delle sue più grandi passioni, quella cinematografica. Non tutti sapranno che da sempre si definisce un’aspirante regista e che nel 2013 ha lavorato al documentario Anija-laNave che ha vinto il David di Donatello. Oggi se avesse tempo a quale film o documentario inizierebbe a lavorare?
Questa è una bella domanda… Ci sono dozzine di storie straordinarie da raccontare o rispetto a quello che vediamo tutti i giorni oppure su storie di fantasia. Viaggiando parecchio incrocio centinaia di persone e ogni tanto mi perdo a pensare alle loro storie che si intrecciano, a come la casualità produce storie, incontri, relazioni. Ho sempre avuto una predilezione per i film la cui struttura prevedeva un intreccio di storie diverse. Ce ne sono diversi che funzionano così, te ne cito uno tra tanti, Crash. Ti potrei citare dell’ottimo cinema di Wong Kar-Wai che ha fatto storia in questo senso.
Non ti so dire una storia su tutte in questo senso, se fosse un film mi metterei domani mattina a scrivere, se fosse un documentario mi concentrerei sulle stesse cose di cui mi occupo al Parlamento, dei flussi migratori sempre più spersonalizzati, delle persone che diventano sempre più numeri nella grande narrazione mediatica. Ci dimentichiamo che ognuna di queste è persona con un suo vissuto, con le sue sofferenze tali che la portano a fare un viaggio spesso disperato. Indagare quali sono le ragioni che portano a queste fughe e a questi viaggi. Il fenomeno migratorio c’è sempre stato e sempre ci sarà e ce l’ho anche nella mia famiglia: mio nonno è partito dall’Europa orientale per arrivare negli Stati Uniti. Sulla strada documentarista, probabilmente, continuerei ad indagare su questo fenomeno.
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