Se Giovanni Falcone definiva la mafia come un “fatto umano” che, come tale, prima o poi avrebbe conosciuto una fine, probabilmente la stessa fine non sembra toccare al fenomeno della corruzione. Antica come il mondo, la corruzione pesa per quasi 120 miliardi di euro sulle casse dello Stato italiano e dell’Unione Europea; senza dover ricorrere ad altri dati, chiunque può rendersi conto dalle recenti cronache l’invasività di questo fenomeno.
Ma se la corruzione non può essere sconfitta, sicuramente può essere arginata e anche in modo molto deciso. La letteratura giuridica è piena di proposte che la politica fa fatica ad introiettare e che, in sostanza, possono essere riassunte in tre grandi categorie. Vediamo quali.
1. Definire il fenomeno
Sembra un controsenso, ma il nostro codice penale, pur dedicando varie norme alla corruzione (ad esempio: gli artt. 318, 319, 320 etc.), contiene alcune imprecisioni che, di fatto, ostacolano l’attività di indagine o di repressione. Si tratta di imprecisioni figlie del tempo in cui le norme furono partorite e che dunque possono essere facilmente rimosse dal legislatore, nel suo compito di definire i comportamenti criminosi.
Normalmente, infatti, alla base della corruzione c’è un accordo (che i giuristi chiamano “pactum sceleris”) fra un pubblico ufficiale e un privato. Tale accordo ha per oggetto un “atto” contrario ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale (corruzione c.d. “propria”) o anche inerente ai doveri d’ufficio, ma compiuto pur sempre ricevendo denaro o altra utilità (corruzione c.d. “impropria”).
Il problema è che, nella prassi criminale, l’accordo spesso non riguarda un singolo atto, ma un risultato finale, che magari viene raggiunto con la partecipazione a vario titolo di più persone, ciascuna responsabile di un comportamenti illecito, in un ambiente che normalmente è già compromesso. Per fare un esempio pratico, pensate al caso frequente di un appalto truccato: il risultato finale di assegnare i lavori ad un’impresa viene raggiunto grazie a un tecnico comunale che omette una verifica, un privato che fornisce un certificato falso, un sindaco che decide come formulare un bando etc. In questa ipotesi, è più facile provare l’esistenza di un’associazione per delinquere che una serie di accordi su precisi “atti”.
Ecco dunque che la punibilità del singolo episodio corruttivo risulta notevolmente ridotta; una prima soluzione è quindi quella di rivedere le norme penali alla luce della più moderna scienza criminale.
2. Scoprire il fenomeno
Abbiamo visto che la corruzione si basa fondamentalmente su un accordo tra un privato e un pubblico ufficiale. Entrambi, seppur in modo diverso, sono ritenuti “concorrenti necessari” nel reato e, come tali, vengono puniti dalla legge. E’ per questo che, chiaramente, nessuno dei due ha interesse a far scoprire il reato: tant’è vero che, durante la stagione di “Mani Pulite”, molti corruttori – privati – tentavano di passare per vittime di concussione, reato nel quale in sostanza il pubblico ufficiale estorce indebitamente denaro al privato senza alcun “potere contrattuale” in capo a quest’ultimo.
Ci si chiederà: ma allora come si scopre la corruzione? La domanda è lecita e, infatti, quella che emerge dalle cronache è soltanto una minima parte del fenomeno corruttivo. Le intercettazioni, le “cimici” piazzate qua e là e le telecamere delle Forze dell’Ordine che immortalano “Mafia Capitale” intervengono solo quando c’è un sentore, e in pochi casi la scoperta avviene a seguito di denuncia privata.
Negli ambienti giuridici si suggerisce da anni l’adozione di misure come le operazioni sotto copertura: negli Stati Uniti, ad esempio, mandano un poliziotto in incognito ad offrire denaro al pubblico ufficiale. Se lo accetta, viene immediatamente arrestato. Questa proposta è stata recentemente ribadita dal Presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, su La7, nella trasmissione “8 e mezzo”. Eppure qui da noi, che ne avremmo bisogno perché la situazione va fronteggiata con misure estreme, sembra fantascienza.
3. Punire il fenomeno
Un ultimo e non trascurabile problema riguarda, infine, la concreta capacità del nostro sistema di reprimere la corruzione con le norme penali. Se un sindaco e un imprenditore si mettono d’accordo per pilotare un certo appalto, tra l’accordo e il risultato finale possono passare anni, e altri anni possono passare prima che si accerti il famoso pactum sceleris in sede giudiziaria. Sicuramente allungare i termini di prescrizione, come propone l’attuale Governo, può rendere meno vano il lavoro delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Ma non è tutto.
Le norme penali sono spesso insufficienti perché, pur aumentando le pene, gli istituti applicabili a tutti i reati restano gli stessi: tra patteggiamenti, attenuanti, sospensione della pena e il classico indulto (o amnistia) che la classe politica regala a se stessa ogni tot di anni, l’ultima preoccupazione di corrotti e corruttori è quella di finire in galera (come peraltro dimostrano le statistiche sul sistema penitenziario).
L’apparato sanzionatorio dovrebbe quindi concentrarsi sulla confisca dei beni, sulle sanzioni interdittive (es.: incandidabilità, espulsione dai partiti politici, divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, interdizione dai pubblici uffici etc.) che spesso sono più efficaci di quelle penali.
Oppure un altro aspetto spesso trascurato è quello dei “reati-satellite”, ovvero di quegli illeciti che ruotano intorno alla corruzione. Ad esempio molti illeciti fiscali (es.: falsità nelle scritture contabili, evasione fiscale etc.) sono sanzionati in modo così blando da “favorire” la corruzione. Ad esempio, la creazione di “fondi neri” che possono essere poi ripuliti con condoni fiscali favorisce spesso la produzione di vere e proprie “riserve” per pagare le famose mazzette. Cosa fa la politica per intervenire, a parte continuare a depenalizzare i reati fiscali e creare norme tributarie sempre più intricate?
Infine c’è il problema della burocrazia: è noto e ampiamente dimostrato che più sono i passaggi necessari per ottenere autorizzazioni, concessioni e in generale provvedimenti della Pubblica Amministrazione, più alta è la probabilità di trovare un ostacolo da aggirare illecitamente. Cosa sta facendo la politica per semplificare la giungla di norme in materia di certificazioni, autorizzazioni, abilitazioni etc.?
Le soluzioni, come vedete, ci sono. Ma una classe politica che non riesce ad emanare una normativa sugli stessi partiti, i quali non hanno nemmeno le regole minime di una società commerciale e sono delle semplici associazioni non riconosciute, che speranze ha di venire a capo di un fenomeno così ampio?