Nel secondo numero del report immigrazione, analizzeremo il rapporto Ocse: “Lavoro per gli immigrati, l’integrazione del mercato del lavoro in Italia” uscito a luglio scorso. L’organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo Economico fotografa una situazione ricca di gravi problematiche, ma soprattutto analizza affondo le principali debolezze delle politiche effettuate in questo settore, suggerendo le azioni da intraprendere. Sarebbe ora che l’ormai abusato “Ce lo chiede l’Europa” sia attuato anche in queste direttive che nella maggior parte dei casi vengono trattate con superficialità e non curanza.
Partiamo da un dato che potrebbe apparire in controtendenza rispetto alle conclusioni del precedente articolo. Abbiamo visto che nel biennio 2012-2013 in Italia i flussi migratori sono diminuiti del 22% e che la meta più ambita sia stata la Germania. La situazione, invece, cambia se si considera un lasso di tempo di quindici anni. In questo periodo diviene il nostro Paese la nazione Europea che ha ricevuto i più alti flussi migratori sia a livelli assoluti sia a livello percentuale della popolazione. Due considerazioni obbligatorie su questo dato: la prima è che attualmente gli immigrati sono solamente l’11% della popolazione in età lavorativa, dato di molto inferiore alla media dei Paesi Ocse. Come è possibile spiegare questa situazione che potrebbe rappresentare un paradosso? Molto semplice, l’Italia quindici anni fa aveva una media molto più bassa rispetto a buona parte delle nazioni Europee. La seconda deduzione che possiamo trarre da questo dato è che la famigerata legge Bossi- Fini non ha portato nessun risultato utile, se non quello di far cadere accuse giustificate di razzismo sul nostro Paese e di aver provocato numerose morti nel Canale di Sicilia, a Lampedusa o sul Canale D’Otranto.
Una delle piaghe del sistema Italia è sicuramente il lavoro nero che l’Ocse quantifica sul 10% del totale. Per chi non ha possibilità di occupare lavori più qualificati, come accade, purtroppo, per i lavoratori stranieri considerati, questo si traduce con un lavoro non tutelato. Inoltre, occupando lavori definiti “vulnerabili”, principalmente nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, i migranti non hanno prospettive di crescita e subiscono maggiormente la crisi. Questo dato, purtroppo, viaggia in parallelo con la drammatica situazione lavorativa italiana.
Ci rubano il lavoro? Lo studio ribadisce un concetto che spesso viene dimenticato: sono gli italiani ad aver richiesto “aiuto”. Negli anni ’70, ci ricordano gli analisti, i centri industriali italiani avevano maggiore bisogno di manodopera immigrata»: «La portata e la diffusione dell’economia sommersa e l’elevata percentuale di piccole imprese hanno reso relativamente semplice, per gli immigrati privi di documenti, la ricerca di lavoro in Italia». Oggi, invece, il richiamo avviene nel settore del sociale: «Con la terza percentuale più alta in tutta l’area Ocse di persone anziane, l’Italia ha un bisogno strutturale di badanti qualificate». Molte volte le donne impiegate non sono in regola, ma la situazione si potrebbe risolvere semplicemente sostituendo “l’indennità di accompagnamento con buoni-servizio” ovvero, con contributi sgravi costanti versati solo se la badante è regolarizzata.
Quanti e come sono utilizzati i fondi per l’integrazione? Le risorse europee nel settore sono aumentate, si è passati, infatti dai 15,1 milioni del 2009 ai 37 milioni del 2013. In Italia, invece, “Il Fondo nazionale per le politiche migratorie, una parte del fondo sociale nazionale, ha sofferto della riduzione generale dei fondi sociali, passando da 16,5 milioni di euro nel 2006 a 6,2 milioni di euro nel 2012 e a 6,8 milioni nel 2013». Come consuetudine italica i fondi vengono gestiti in maniera pessima, ben il 42% dei finanziamenti nel 2010 è stato perso e rimandato indietro. Inoltre sentenziano gli esperti “non è chiaro se le spese sostenute con i fondi Europei stiano portando risultati”. Non c’è una normativa chiara, non è presente quasi mai un progetto di lungo periodo, ma vengono attuate solamente azioni locali improvvisate gestite da enti non coordinati tra loro. Causa principale di questo disordine è la sovrapposizione tra Stato, Regioni e Comuni. Tutto questo caos genera inefficienze su alcune norme fondamentali come per la formazione linguistica, base per l’inclusione. “Le ore di formazione economica sono relativamente poche (solo 100 rispetto a più di 300 in altri paesi OCSE), il livello di padronanza della lingua da acquisire è relativamente basso e a livello nazionale non è prevista nessuna specifica formazione professionale, inoltre, “i corsi di lingua organizzati a livello locale risentono di una mancanza di coordinamento e di condivisione delle migliori pratiche”.
SOLUZIONI E PROSPETTIVE
19 proposte e soluzioni sono state caldamente suggerite dall’Ocse per migliorare da subito la politica e la gestione del fenomeno. Queste norme rientrano in quattro grandi macro-aree di azione
- Analizzare l’effetto sproporzionato della crisi economica sugli immigrati e promuovere la loro occupabilità.
- Combattere il lavoro sommerso o irregolare
- Migliorare le infrastrutture per l’integrazione
- Migliorare l’integrazione dei figli d’immigrati
Semplice ma molto dura la conclusione ultima che si può trarre dallo studio, se la situazione non migliorerà le conseguenze saranno negative a breve termine e devastanti nel futuro.
Per chi volesse approfondire lo studio completo: http://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/lavoro-per-gli-immigrati_9789264216570-it;jsessionid=31hleghq0rff4.x-oecd-live-02