Dal blog: http://mattidalegale.blogspot.it/
Il decreto-legge n. 132/2014, varato pochi giorni fa dal Governo, è stato presentato come un provvedimento decisivo per velocizzare i tempi dei giudizi civili. La parola principale utilizzata dai tecnici dell’Esecutivo è stata “degiurisdizionalizzazione”; termine quasi impronunciabile, che significa – in breve – che il Governo vuole far risolvere le cause pendenti davanti ai giudici civili in altre sedi, per accelerare i tempi dei processi.
L’arretrato della giustizia civile è abnorme e se ne parla poco, forse perché il pubblico è colpito più dai processi penali e si accorge solo di quanto è lungo il caso di Garlasco. Eppure il settore civile è quello che ci interessa nella vita di tutti i giorni: la famiglia, il condominio, gli incidenti stradali, le cartelle esattoriali e le imprese che vogliono recuperare i soldi dei debitori sono tutti lì, in quegli oltre cinque milioni di processi civili pendenti all’inizio di quest’anno.
Ma il provvedimento del Governo, che sicuramente non è “la” riforma del processo civile, riuscirà almeno a mettere una pezza alla situazione tragica dei tribunali italiani?
Sul punto, provo nel mio piccolo ad avanzare qualche dubbio in merito alle ricette di Renzi e della sua squadra, analizzando le più rilevanti senza alcuna pretesa di completezza.
1. Arbitrato
Le parti, anche nel corso di un giudizio pendente, potranno chiedere di spostare la causa dal Tribunale ad un Collegio arbitrale (cioè formato da arbitri privati che operano con le stesse garanzie di terzietà dei giudici). La norma in sé è interessante, ma il decreto richiede che le parti facciano una istanza congiunta al giudice. Per quale motivo due litiganti, che non si sono messi d’accordo prima del giudizio (ad esempio con la mediazione, già prevista dal nostro ordinamento), dovrebbero trovare un accordo per farsi decidere la controversia in una sede peraltro molto costosa? Il debitore che vuole sfuggire al creditore che interesse avrebbe ad accelerare i tempi della giustizia?
2. Conciliazione assistita
Gli avvocati che assistono le parti durante una conciliazione stragiudiziale potranno “certificare” gli accordi, anche in materia di separazione e divorzio, e tali accordi costituiranno titolo esecutivo (cioè potranno essere usati anche per pignorare i beni del debitore). Le perplessità sono le stesse di cui sopra: la parte che è “nel torto” non trova più conveniente attendere il giudizio vero e proprio che, magari, dura anni? Che interesse ha il debitore a prestare il consenso ad un titolo esecutivo per farsi pignorare i propri beni?
3. “Chi perde paga…sempre”
Il provvedimento vuole cancellare dal codice di procedura una norma che consente al giudice di compensare le spese, cioè derogare alla regola del “chi perde paga”, quando ricorrono “gravi ed eccezionali ragioni”. Togliendo questa norma, la parte che vuole agire o resistere in giudizio pur sapendo di avere torto sarebbe scoraggiata, poiché dovrebbe rimborsare all’altra le spese del giudizio (anche quelle per pagare l’avvocato) sempre, a meno che non vi sia soccombenza reciproca (cioè che le parti abbiano entrambe un po’ torto e un po’ ragione) o una questione particolarmente nuova per il diritto. Mi sembra un’idea ragionevole, che peraltro gli addetti ai lavori richiedono da tempo, anche se nella pratica processuale mi sembra che molti debitori inadempienti resistano in giudizio pur sapendo di essere palesemente nel torto. Comunque, sempre meglio una norma chiara che una ambigua.
4. Passaggio al rito sommario
Nell’attuale codice quasi tutte le cause civili possono essere introdotte, a scelta di chi inizia la causa, con un rito ordinario oppure con un rito sommario. Quest’ultimo, in sostanza, richiede minori formalità e quindi viaggia con più speditezza. Tuttavia, mentre il giudice può scegliere di passare dal rito sommario a quello ordinario se ritiene che la causa non può essere decisa con un’istruttoria semplificata, non è possibile l’inverso: il decreto vuole consentire quest’ultima possibilità. Il problema è che nella prassi si dispone spesso il mutamento del rito, quindi i dubbi sul funzionamento di questa norma sono legittimi: se ora i giudici ritengono spesso inadatto il rito sommario e ordinano il passaggio a quello ordinario, perché da ora in poi dovrebbero agire in senso inverso? In più, come scrivevo quando già il Governo Letta avanzava questa proposta, si rischia di trattare con due procedimenti diversi (ordinario e sommario) due cause simili solo perché un giudice ha discrezionalmente ritenuto “semplice” una causa che l’altro ha ritenuto complessa, cosa che non garantisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e l’uguale tutela del diritto al contraddittorio. Non sarebbe più semplice ed efficace rendere obbligatorio il rito sommario per alcune materie, come già avviene in molti casi?